
L’usufrutto della casa dei genitori a figli e figlie può sembrarti una soluzione più che logica. Mentre mantieni la nuda proprietà dell’immobile, puoi garantirgli un tetto sicuro sulla testa e offrirgli la possibilità di viverci con i rispettivi compagni e compagne. Faciliti la formazione di una nuova famiglia sgravando i tuoi figli da ulteriori costi, come l’affitto di un appartamento.
Tuttavia, di doman non c’è certezza, scriveva il grande letterato e mecenate Lorenzo de’ Medici. E aveva ragione da vendere. Immagina se, dopo qualche anno e la nascita di un nipotino, il rapporto tra i coniugi si incrinasse e decidessero di separarsi o, per lo meno di non convivere più insieme. A chi spetterebbe il diritto di restare nella casa che hai concesso in usufrutto?
A questo tipo di insidie non ci avevi pensato. A nessuno piace immaginare che il legame affettivo tra due persone si interrompa. Eppure, può accadere. Dovresti sapere cosa ti aspetta per riuscire a recuperare la pienezza potestativa dell’immobile concesso in usufrutto ai figli, per tutelare i beni di tua proprietà.
Cos’è e come funziona l’usufrutto
L’usufrutto di un’abitazione è un diritto che consiste nell’utilizzo e sfruttamento di un bene immobile di proprietà altrui. Regolato dall’articolo 981 del Codice Civile, comporta una sorta di frazionamento del diritto di proprietà:
- l’usufruttuario, pur non essendo proprietario dell’immobile, può utilizzarlo e sfruttarlo come meglio ritiene. Ha il diritto di viverci, può cedere il proprio diritto a un soggetto terzo, concedere in locazione la casa e godere dei frutti derivanti dal canone. Tutto questo, purché rispetti la destinazione economica dell’immobile e si attenga alle limitazioni di legge;
- il nudo proprietario mantiene la titolarità del bene, ma non può utilizzarlo, proprio perché ne ha concesso l’usufrutto a un’altra persona.
La costituzione del diritto di usufrutto della casa dei genitori ai figli avviene con la sottoscrizione di un contratto scritto (l’accordo verbale è nullo). Tale contratto dovrà essere stipulato tra le parti con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
L’usufrutto concesso a una persona fisica è sempre a tempo determinato e ha una durata massima di 30 anni. In ogni caso, non può eccedere la vita dell’usufruttuario e non può essere concesso ai suoi eredi, poiché non è un diritto trasmissibile a causa di morte.
Estinzione dell’usufrutto: quando avviene
L’estinzione dell’usufrutto può avvenire prima del termine massimo previsto per legge (30 anni) se una delle parti titolari dell’accordo muore, oppure:
- alla scadenza convenuta nell’accordo sottoscritto;
- alla riunione di usufrutto e proprietà nella stessa persona;
- nel caso l’usufruttuario abusi del suo diritto;
- se l’usufruttuario non esercita il diritto acquisito entro 20 anni dalla stipula del contratto;
- se l’usufruttuario rinuncia al diritto acquisito.
L’usufruttuario può dunque disporre dell’immobile come ritiene opportuno (nel rispetto dei limiti di legge), ma ha anche numerosi doveri, sia nei confronti del proprietario che fiscali. Ad esempio, è tenuto a:
- salvaguardare l’integrità dell’immobile e trattarlo con diligenza;
- farsi carico delle spese di ordinaria manutenzione, spese di condominio e amministrazione, imposte sul reddito, compresi canoni e rendite fondiarie;
- restituire il bene nel termine previsto per l’usufrutto;
- osservare il vincolo di utilizzo dell’immobile in base alla destinazione d’uso.
Nell’ipotesi di mancato rispetto di questi doveri, il nudo proprietario può avvalersi della facoltà di richiedere che l’usufrutto decada.
Questi, in linea di massima, sono i confini normativi e fiscali connessi all’usufrutto di un immobile. Ma cosa succede se l’usufruttuario è uno dei tuoi figli e la convivenza con il suo coniuge finisce? In presenza di prole minorenne o maggiorenne convivente, la situazione per il nudo proprietario si complica.
L’usufrutto della casa dei genitori ai figli in caso di separazione: un’insidia per il nudo proprietario
In caso di crisi del rapporto di coppia, l’assegnazione della casa familiare deve privilegiare gli interessi dei figli (Art. 337-sexies, co. 1 c.c.). Tra questi, la possibilità di permanere nella casa dove sono cresciuti, per tutelare il loro benessere evitando ulteriori traumi e cambiamenti.
Quindi, l’immobile concesso in usufrutto verrà assegnato al genitore collocatario della prole minorenne o maggiorenne convivente, economicamente non autosufficiente. Tale disposizione è valida anche nel caso in cui la casa familiare sia di proprietà di un terzo soggetto e i coniugi non siano uniti in matrimonio.
Ne consegue che, sia il nudo proprietario dell’immobile che i figli, a cui è stato concesso l’usufrutto, ma non risultano collocatari della prole, non hanno alcun diritto di godere del bene. Almeno fino alla totale autonomia dei rispettivi nipoti e figli.
Di fatto, l’usufrutto della casa dei genitori concesso al figlio o alla figlia, per abitare nell’immobile con la sua famiglia, si configura come un “comodato gratuito ordinario” (disciplinato dagli artt. 1803 ss. c.c.). Dunque, non riguarda solo i figli che ricevono l’usufrutto dal nudo proprietario.
In conclusione, se volessi concedere l’uso di un immobile di proprietà ai figli, per aiutarli a crearsi una famiglia, dovresti tutelarli inquadrando la concessione con un contratto di comodato o di locazione. Questo dovrà poi essere registrato all’Agenzia delle Entrate e riportare un preciso termine di scadenza.
Usufrutto della casa dei genitori: valuta tutte le possibilità per tutelare il tuo patrimonio
L’usufrutto della casa dei genitori ai figli è senza dubbio un atto d’amore per agevolarli nella creazione della propria famiglia. Tuttavia, come hai visto, nasconde delle insidie che possono impedirti di tutelare i beni di tua proprietà.
Se vuoi proteggere quello che un giorno sarà il patrimonio in eredità ai tuoi figli, prima di concedere l’usufrutto di un immobile pensaci bene. Considera tutte le ipotesi possibili, anche quelle che non ritieni possano manifestarsi e trova le soluzioni che ti offrano maggiori garanzie. Non si tratta di non avere fiducia nei coniugi, ma di salvaguardare il futuro dei figli.
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